Vi si alternano commedia e farsa, invettiva, thriller e dramma, nei quali passano in scena figure femminili che rappresentano la realtà sociale e lavorativa delle donne in Italia
di Raffaello Fusaro
Winnie la protagonista di Giorni felici è sepolta viva in un mucchio di sabbia in cui affonda. Un piccolo ombrellino la ripara dalle intemperie. Non ammette a sé stessa di trovarsi in una situazione tremenda. Lei si proclama felice. Va avanti. Ha la borsetta, lo specchio, la spazzolina e un marito che ammorba con il suo estenuante bla bla bla. Ha una piccola pistola con la quale potrebbe farla finita, ma il gesto rappresenterebbe una sconfitta. Per questo i suoi giorni tutti uguali… sono giorni felici. Beckett metteva in scena le assurdità dell’esistenza in cui siamo impantanati e l’attaccamento alla vita che non molla anche in condizioni estreme. La protagonista era cosciente o estremamente incosciente? La domanda non cambia il suo comportamento. Erano gli inizi degli anni 60. La contestazione primaverile non era scesa del tutto nelle strade. Le idee borghesi e il vecchio mondo sembravano affondare nelle sabbie mobili. In quegli anni la pillola anticoncezionale, fortemente voluta dalle donne, veniva lanciata sul mercato europeo. Oggi, dopo lotte e prese di coscienza, molti valori che diamo per acquisiti in realtà non sono condivisi da tutti. Sono negati dietro sottili discriminazioni che impantanano anche la nostra epoca. Si vorrebbe la parità definitiva ma ci scontriamo ancora in estenuanti discussioni sul genere da usare nelle professioni. Vera Gheno, sociolinguista, sottolinea che si utilizzavano già nell’antichità i nomina agentis al femminile. Nonostante questo, la grazia e la cura nell’utilizzo delle parole appaiono ancora un po’ distanti. In Dannazione donna le parole delle protagoniste sono pensate. A volte l’autore le utilizza come slogan in difesa della persona, altre sintetizzando i dati odierni in pensieri che fanno riflettere intorno alla parità di genere. Durante la performance di Monica Ferri ho badato alle reazioni del pubblico. La protagonista, anzi coprotagonista con altre 8 sé stesse diverse per anagrafe e ritmi, riceve applausi, suscita risate e commenti in una forma di teatro partecipata. Le risposte degli spettatori ricordano espressioni di teatro sociale che interrogano prima di dar risposte. Siamo nel presente. Il tema del monologo attiene le diseguaglianze delle donne nel mondo del lavoro, economiche e di ruolo. La storia è ambientata in una grande azienda. In 8 quadri 8 donne sono interpretate da una sola attrice. La recitazione di Monica è densa, ricca e complessa, ironica, straniata e naturalistica un attimo dopo, proprio come complicati sono i ruoli delle donne nella società. Dalla signora delle pulizie alla stagista, dall’impiegata alla testimonial passando per la precaria, si recita su e giù lungo la rampa dei ruoli. L’attrice diventa giornalista e padrona di casa fino all’amministratrice delegata di un’importante azienda facendo pensare a quante scene si devono interpretare e quanti caratteri assumere per lavorare. In Italia, nazione che è sopra la media Ue per presenze femminili nei consigli di amministrazione, solo il 4% degli amministratori delegati è una donna! Alcune vivono ruoli sottovalutati, altre interpretano ruoli imposti dalle circostanze, altre accettano posizioni dentro aziende che rifiutano la maternità (o meglio preferiscono gentilmente scelte più economiche). Al termine della pièce le interpretazioni annullano il concetto stesso di ruolo in uno che li riassume tutti: quello dell’attrice che li interpreta. La Ferri toglie le maschere dell’artista. Con la sua capacità analitica di interpretazione ritorna soltanto una donna che testimonia tutte le donne.