di Icilio Tomassetti, veterinario
La vita professionale del veterinario è fatta di tanti momenti, le soddisfazioni ed i successi si alternano con i fallimenti o l’amaro sapore di un risultato non raggiunto, al pari, mi sento di dire, con tutte le altre professioni che vengono vissute con partecipazione. Una delle circostanze emotivamente più coinvolgenti è la perdita dell’animale da parte del proprietario: in qualunque modo essa avvenga ed indipendentemente dall’età, rappresenta un uragano di tristezza, rabbia, frustrazione. Il proprietario si abbandona a dubbi che prepotentemente pervadono la propria mente: “avrei potuto fare di più?”, “ma se lo avessi portato prima?”, “è stata la giusta decisione?”. In questa situazione per ogni domanda non basterebbero mille risposte a placare la disperazione, ed è in questo preciso istante che noi veterinari dobbiamo cambiare abito, diventare l'”amico” più intimo per meglio capire come consolare, aiutare, stare vicino, ma allo stesso tempo nascondere la nostra di sofferenza: spesso ci si unisce in un forte abbraccio. E poi, accade anche il contrario: è il cane a perdere il padrone. Per i nostri animali d’affezione il proprietario è veramente tanto se non addirittura tutto: è l’amico, il compagno di giochi, il dispensatore di coccole, colui che lo accudisce, colui che gli fornisce le cure. Spesso gli animali che perdono questo punto di riferimento cambiano il loro carattere, divengono meno gioiosi e giocosi, meno reattivi alle sollecitazioni esterne cioè apatici. Spesso anche l’appetito si modifica, in alcuni casi diminuisce, in altri aumenta diventando fonte di piacere sostitutiva, in altri casi emettono vocalizzazioni lamentose. Ci sono esempi, stupendamente rappresentativi del rapporto uomo-animale, come quando il cane quotidianamente raggiunge la sede di sepoltura del proprietario, altri, estremi, in cui gli animali rifiutano completamente il cibo fino a lasciarsi morire