La blasonatura nata nel Medioevo per il nostro paese è d’oro, con la scrofa nera cinghiata d’argento “passante sulla campagna di verde”. Uno stemma che racconta bene la storia, le tradizioni e i luoghi.
di Francesca Diana
Scrivere di araldica al giorno d’oggi è come raccontare una favola. In fondo, le fiabe più famose erano ambientate in un’epoca apparentemente “fantastica” ma riconducibile al medioevo e Sacrofano non è forse degna rappresentante di quell’epoca? E non possiede un borgo che trasudi medioevo, un palio che ne evochi la storia e uno stemma che la rappresenti? Ebbene, l’araldica nasce proprio nel medioevo, quel periodo storico considerato “buio” dal più comune dei luoghi e che invece in dieci secoli di storia ha lasciato filtrare molti spiragli di luce e di colore. Dell’araldica generalmente si conosce poco e specialmente in Italia viene confusa con discipline di tipo genealogico e nobiliare. Così nel tempo è diventata emblematica di uno status ormai superato dai fatti e dagli ideali (durante la Rivoluzione francese si distruggevano gli stemmi nobiliari). L’araldica invece è altro, una vera e propria scienza con regole e metodo e non puro elemento decorativo o segno di vanagloria. Nel medioevo in principio lo stemma era il contrassegno dei grandi feudatari funzionari dell’impero e quindi espressione visibile dell’appartenenza a un gruppo. Con il tempo si modifica e al rapporto tra la nazione e il colore dello stemma, succederà quello tra stemma e cognome. Anche la borghesia, in epoca più avanzata, detentrice di un certo potere assume stemmi per indicare la fazione politica di appartenenza. Infatti, nobiltà e borghesia, distinte su un piano sociale, si unificheranno nel momento araldico perché il possesso di uno stemma non indica la condizione di nobile o di borghese ma il riferimento a un certo potere, quel potere grazie al quale una famiglia è uscita dall’anonimato. La descrizione di uno stemma si chiama blasonatura che ha le sue regole e il suo metodo e nel caso di Sacrofano la blasonatura è “d’oro, alla scrofa di nero, cinghiata d’argento, passante sulla campagna di verde, ornamenti esteriori da comune”. Il Gonfalone comunale è rappresentato da un “drappo partito di giallo e di verde, riccamente ornato di ricami d’argento e caricato dello stemma sopra descritto con la iscrizione centrata in argento, recante la denominazione del Comune”. Lo stemma e il Gonfalone sono approvati e deliberati dal Consiglio Comunale, riconosciuti con D.P.R. del 17 aprile 1990 perché lo stemma è la concessione di un emblema con decreto del presidente della Repubblica, è un bene immateriale dell’Ente ed è salvaguardato dalle leggi dello Stato come avviene per i cognomi. La denominazione di Sacrofano fonda le sue radici su leggende e tradizioni popolari: da un Sacrum Fanum che con molta probabilità era un’area sacra sul monte Musino, alla costruzione dello stesso Fanum in onore di una scrofa beneaugurante, oppure a una grossa scrofa che in un momento di carestia per la siccità che avrebbe messo a rischio i raccolti, trovò una sorgente d’acqua salvando il paese. Quale sia l’origine poco importa ma la scrofa c’è e lo scudo di Sacrofano è sicuramente un cosiddetto stemma parlante perché l’animale che lo rappresenta ne evoca il nome, come tramandano i suoi abitanti, Scrofanum, suggellato nello stemma del Municipio e risalente a documenti del XVIII e XIX secolo. Per quanto riguarda i colori, ovvero gli smalti, il giallo in araldica rappresenta l’oro, il metallo più nobile e il bianco l’argento, la purezza. Il verde è rappresentativo di onore e abbondanza e anche della campagna che circonda la zona. La scrofa è passante, con la testa posizionata a sinistra per chi guarda lo scudo. Questa scelta sembra derivare dalla postura dei cavalieri durante le giostre e i tornei che impugnavano a destra la lancia e a sinistra lo scudo con l’emblema, in questo modo l’animale sembrava correre nella stessa direzione del cavaliere. La corona che sormonta lo scudo è simbolo del Comune (corona civica).