Il lavoro povero fa male al reddito delle famiglie

29/11/2024 | I Numeri

Non è facile per l’assistenza sociale del Comune, e per le associazioni di volontariato far fronte alle necessità del disagio sociale

di Piero Santonastaso

Gridavano “pane e lavoro”, i braccianti romagnoli che il 25 novembre 1884 partirono dalla stazione di Ravenna per bonificare il litorale di Ostia. Oggi non lo farebbero più, perché nel terzo millennio e nell’ottavo Paese più ricco del mondo, un lavoro contrattualmente in regola non garantisce il soddisfacimento dei bisogni primari. Un paradosso e un controsenso, nella Repubblica fondata sul lavoro, ma comunemente accettato in Italia e nel mondo, tanto da aver dato vita a una nuova categoria: “in-work poor”, reso in italiano con “lavoro povero”. Tecnicamente il lavoratore povero è un soggetto occupato almeno 7 mesi l’anno, che vive in un nucleo familiare il cui reddito equivalente è inferiore al 60% del reddito mediano nazionale. Attenzione alle parole! Reddito mediano, non reddito medio. Quest’ultimo è un semplice indicatore statistico ed è la somma dei redditi italiani (poco più di 969 miliardi nel 2022) divisa per il numero dei percettori: se ne ricava un’immagine sfocata (vedi il famigerato pollo di Trilussa), tradotta però in numeri assoluti. Nel 2022, ultimo dato Istat disponibile, il reddito medio delle famiglie era pari a 35.995 euro (2.999,58 euro al mese). Il reddito mediano è invece più aderente alla realtà delle cose, perché taglia esattamente a metà la platea di riferimento, in questo caso il totale delle famiglie italiane. Il reddito mediano 2022, quello sotto il quale si trova il 50% dei nuclei familiari, è stato di 28.860 euro, inferiore di 7.135 al reddito medio (2.405 al mese, 594 euro in meno). Possiamo perciò fissare meglio i contorni della definizione di lavoratore povero: si tratta di chi vive in un nucleo familiare il cui reddito è inferiore ai 1.443 euro al mese (il 60% di 2.405), equivalente a 17.316 euro l’anno. Sappiamo bene come un reddito simile, in tutta la sua esilità, appaia comunque un miraggio a un gran numero di lavoratori – soprattutto donne e giovani – quelli delle occupazioni precarie fiorite negli ultimi due decenni sotto le più fantasiose etichette, raggruppate nella definizione “gig economy”. Segnala l’Istat, non sospettabile di simpatie rivoluzionarie, che “tra il 2013 e il 2023 il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde è diminuito del 4,5% mentre nelle maggiori economie dell’Ue27 è cresciuto a tassi tra l’1,1% della Francia e il 5,7% della Germania. Tra il 2014 e il 2023 l’incidenza di povertà assoluta individuale tra gli occupati è passata dal 4,9% al 7,6%. Per gli operai l’incremento è stato più rapido passando da poco meno del 9% nel 2014 al 14,6% nel 2023. Nel triennio 2021-2023 le retribuzioni contrattuali orarie sono cresciute a un ritmo inferiore a quello dei prezzi, con una differenza marcata nel 2022 (7,6 punti percentuali): tra gennaio 2021 e dicembre 2023 i prezzi al consumo sono aumentati del 17,3%, mentre le retribuzioni sono cresciute del 4,7%. Nel 2022, il reddito medio delle famiglie aumenta in termini nominali (+6,5%), mentre segna una netta flessione in termini reali (-2,1%) tenuto conto della forte accelerazione dell’inflazione”. Il lavoro in Italia non paga, insomma. Non abbastanza: siamo il Paese in cui un lavoratore su quattro è povero e uno su tre è vulnerabile, cioè destinato a cadere in povertà assoluta di fronte a qualunque evento inatteso, sia esso una malattia, un incidente o l’allargamento non programmato del nucleo familiare. In un saggio pubblicato quest’anno da Laterza, “Abolire il lavoro povero”, Alessandro Somma, professore ordinario di diritto comparato alla Sapienza, punta il dito contro la politica – tutta – che con la sua subalternità all’economia e al mercato attua un vero e proprio attentato alla Costituzione. Quest’ultima stabilisce che il lavoro è un diritto e un dovere, le cui contropartite sono un salario dignitoso, un welfare esteso e la partecipazione dei lavoratori alla definizione dell’indirizzo politico generale. Tutte cose esattamente opposte al lavoro povero dominante e alla politica economica e sociale di questo governo, che ai poveri ha deciso di fare la guerra con l’abolizione del reddito di cittadinanza e l’ostinatissimo no all’introduzione del salario minimo.

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