di Piero Santonastaso
Nel Lazio, soltanto ad agosto, si sono contate 59 vittime, una ogni quattro giorni. Un indecente bollettino di guerra.
Quando il 20 aprile scorso morì Roberto Campigotto, friulano da anni residente a Sacrofano, si tornò a parlare brevemente dei carichi insopportabili ai quali vengono sottoposti gli operatori della sanità. Roberto, 59 anni, era infatti un autista soccorritore dell’Ares 118: quel sabato si sentì male (infarto) durante un intervento a Monterotondo e fu subito soccorso dai suoi due colleghi, fatto eccezionale perché ormai la consuetudine imposta dai tagli alla sanità vuole che gli equipaggi delle ambulanze siano costituiti da due sole persone. Roberto purtroppo non sopravvisse e dopo la sua morte per un po’ si tornò a parlare di carichi di lavoro, poi scese di nuovo il silenzio. Perché nella realtà italiana le morti sul lavoro sono considerate ineluttabile fatalità, qualcosa di connaturato all’idea stessa di lavoro. Tant’è che gli eufemismi si sprecano, a partire dall’intollerabile “morti bianche”, come se ci trovassimo davanti a qualcosa di asettico e non al sangue dei lavoratori e al dolore dei congiunti, per tacere dell’impatto su famiglie spesso monoreddito. Il Lazio non sfugge a questa moderna piaga. A fine agosto, in un panorama nazionale che conta 756 vittime del lavoro dall’inizio dell’anno, la regione contribuisce con 59 morti, uno ogni quattro giorni. La parte del leone la fa naturalmente la provincia di Roma, con 29 vittime, seguita da quelle di Latina (11), Frosinone (10), Viterbo (4) e Rieti (1). Quattro i lavoratori laziali morti fuori regione. Ventuno sono stati i morti in itinere, cioè raggiungendo o lasciando il posto di lavoro, un dato che percentualmente rispecchia quello nazionale, ma se guardiamo alle fasce di età la situazione cambia. È infatti alto il numero di vittime entro i 40 anni: 21, più di un terzo del totale (11 nella fascia 21-30 anni, 10 in quella 31-40), mentre il dato italiano è al di sotto del 20%. Il settore più colpito è quello dell’agricoltura, con 11 vittime, tra le quali spicca il nome di Satnam Singh, il trentunenne indiano rimasto gravemente ferito in una serra di Borgo Santa Maria e abbandonato al suo destino dal datore di lavoro. L’edilizia conta 6 morti, così come la ristorazione (qui contano molto gli incidenti in itinere, soprattutto a notte fonda), mentre commercio e trasporti si attestano a 5 vittime. L’industria ne conta 4 (due delle quali alla Catalent di Anagni), come l’artigianato. Il mese più insanguinato è stato giugno (20 morti), maggio quello con meno vittime (4). Tutto questo accade nel totale disinteresse della politica, nazionale e locale.
(Dati completi su facebook.com/mortidilavoro)