Ecco perché resta una priorità sfruttare uno spazio esistente ma non ancora agibile.
di Raffaello Fusaro
Scriveva De Andrè, in Storia di un impiegato: “Tu non sapevi di avere una coscienza al fosforo, piantata tra l’aorta e l’intenzio¬ne”. Esiste, dunque, uno spazio fatto di bellezza, idee, invenzione, sentimento e pensiero? Sì, è il teatro. Oggi, in un tempo in cui ab¬biamo delegato ai social il racconto delle emozioni, dovremmo tornare a considerare i soggetti prima degli oggetti. Gli uomini prima delle cose. Le tragedie, le commedie, i monologhi e gli spettacoli di teatro raccontano piccole e grandi difficoltà della nostra esistenza, i nostri inappagamenti e i nostri sogni. A teatro siamo davanti a uno specchio che raffigura le nostre paure, i desideri, le passioni. Il teatro è fisico, non immateria¬le. Il teatro è un luogo da riempire di contenuti e argomenti umani. Un luogo che contribuisce, in modo impareggiabile, a farci diventare cittadini più consapevoli del nostro ruolo in una comunità. Oggi siamo nel pieno di un’evoluzione tecno¬logica che trasforma i ruoli umani e sociali. I social creano distanze, non socialità. Abbiamo bisogno di più riflessioni e meno narrazioni, di un nuovo umanesimo come antidoto alla dittatura dei like, della teologia del narcisismo digitale, dell’epidemia dei follower. Sappiamo sempre tutto di tutti e sempre meno di tutto. Men che meno di noi stessi. Ragiona¬re è meglio che chattare. Riprendiamo la parola, il contesto in cui si pronuncia, il luogo in cui assume il significato e si trasforma in significante. Riprendiamoci il teatro, il luogo del¬la mente di ogni comunità attiva.