Tradizionalmente, a Sacrofano il pomodoro era sempre presente negli orti familiari, e verso agosto, quando era in abbondanza e ben maturo, si passavano intere giornate a fare le “bottiglie di passata”.
di Simone Bianchini
In quell’occasione, la famiglia si riuniva per imbottigliare grandi quantità di pomodoro, che veniva poi fatto bollire in grandi calderoni e conservato in cantina per essere utilizzato durante tutto l’anno. Oggi, invece, la coltivazione del pomodoro negli orti familiari è più orientata verso il consumo ‘fresco’, con una preferenza per varietà destinate ad essere consumate in insalata. Il pomodoro, originario delle Ande e diffuso nell’area compresa tra il Cile, il Perù e l’Ecuador, è stato introdotto in Europa intorno al XVI secolo. Inizialmente, non veniva utilizzato per scopi alimentari, ma piuttosto come pianta ornamentale, in parte per la sua bellezza e in parte perché molti lo ritenevano un frutto velenoso. I Maya furono tra i primi a coltivare il pomodoro, selezionando varietà con frutti più grandi rispetto a quelli selvatici. Successivamente, gli Aztechi diffusero questa coltura nelle regioni meridionali del Messico, dove il frutto era chiamato “tomatl”, termine che ha dato origine alla parola “tomate”. Quando gli esploratori europei giunsero nel Nuovo Mondo, portarono il pomodoro in Europa, dove la pianta si diffuse inizialmente a fatica, prima in Spagna e poi in Italia, e soltanto dal XVIII secolo riuscì a stravolgere le tradizioni culinarie del continente. Nel Sud Italia, dove le condizioni climatiche favorevoli permisero una rapida espansione della coltivazione, furono introdotte le prime tecniche di conservazione del pomodoro. L’Italia è oggi uno dei principali produttori mondiali di pomodoro da industria, insieme a Stati Uniti e Cina. Secondo i dati più recenti forniti dall’Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali (ANICAV) e dal World Processing Tomato Council (WPTC), nel 2023 la superficie coltivata ha raggiunto circa 70.000 ettari, con una produzione di quasi 6 milioni di tonnellate di pomodoro da industria, pari al 13% della produzione mondiale. Il nostro paese si conferma così il primo produttore di pomodoro da industria in Europa, seguito da Spagna e Portogallo, e il terzo produttore mondiale, con circa 5,4 milioni di tonnellate, dietro Stati Uniti e Cina. Inoltre, è il primo esportatore mondiale di concentrato di pomodoro.
I principali mercati di destinazione includono paesi europei, Stati Uniti, e anche alcuni mercati emergenti in Asia e Africa. Oltre ai concentrati, l’Italia esporta anche altri prodotti a base di pomodoro, come salse e passate, che sono particolarmente apprezzati in tutto il mondo per la qualità e l’autenticità. La domanda continua ad essere forte, anche grazie all’elevata reputazione della cucina italiana, che ha aumentato il consumo di questi prodotti a livello globale. Considerato che il prezzo dei pomodori da industria si aggira intorno ai 130-150 euro per quintale, ovvero circa 12-15 centesimi al kg, è evidente che per garantire un buon reddito è necessario coltivare grandi quantità, puntando su una produzione su larga scala che permetta di ottimizzare i costi e le rese, scegliendo varietà di pomodoro in grado di garantire alte produzioni, spesso a discapito delle caratteristiche organolettiche. Ad oggi, l’export italiano di pomodoro da industria rappresenta una risorsa fondamentale per l’economia del settore, con un valore che si aggira intorno ai 2 miliardi di euro all’anno e un volume che supera 2 milioni di tonnellate di prodotti trasformati, consolidando il nostro paese come leader globale nella produzione e trasformazione di questo fondamentale prodotto agricolo. Oggi, sebbene siano poche le famiglie che continuano a tramandare la tradizione della passata fatta in casa, la memoria di quei semplici gesti rimane un simbolo della vita rurale di un tempo, un patrimonio da non dimenticare